Lettori fissi

domenica 17 giugno 2012

La luce dentro il dolore, un racconto banale





Quel pianto disperato in ascensore: una figlia aggrappata alle braccia di una madre, mi fece svegliare dal torpore.
Il mio dolore era stato così lancinante da essersi addormentato nel corso di quei mesi. Quasi come fosse sparito, la mia mente non voleva accettare quello che stava accadendo. In fondo, pensai, non mi sono mai sciolta in un pianto così; per fare la forte davanti agli occhi dei miei cari. Ma essere forti non significa non piangere (che banalità), ... essere forti a volte può voler dire piangere davanti a un mucchio di gente come avvoltoi.
Ad ogni modo misi una mano sulla spalla di quella ragazza e dentro cominciai a piangere anche io, lei si girò, mi guardò come a voler dire: lasciami in pace, non lo vedi che sto soffrendo? Certo che lo sento, le risposi togliendo via la mano e uscendo dall'ascensore più forte e debole al tempo stesso di prima. C'ero dentro in quel dolore e pensai che da qualche parte dovevo pure uscire così come ero entrata. 


Ma dov'era l'uscita?
dov'era l'uscita?
dov'era l'uscita?


Qualcuno mi aveva detto che quando soffri in questo modo, se guardi bene, riesci a intravedere una luce da qualche parte, quello che dovevo fare era cercarla...



(Dipinto di Munch)

2 commenti:

  1. Mi è sembrato di uscire da quel dolore, ma dopo qualche passo mi ci sono trovata impaniata ancora di più...e ho capito che il dolore è la mia casa.

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  2. Sei un animo sensibile, ho capito che è anche casa mia, però ogni tanto si può prendere una boccata d'aria, trattenerla dentro il più possibile ed è come andare in vacanza; allora cerco di incamerare più aria possibile in modo che nelle emergenze non rimango a secco, non muoio.

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