Lettori fissi

venerdì 23 marzo 2012

Vittimia

Vittìmia

I sogni si erano spenti nella città di Vittimia. Pezzetti di gomma piuma cadevano giù come neve mischiandosi ai neuroni dei cervelli, il battito cardiaco generale dell’universo era accelerato, le carni cascanti come buste vuote della spesa. Ci voleva un cambiamento radicale.
“Ricostruite Vittimia”, era il grido d’allarme che si levava ogni giorno dalle piazze, i contadini in massa scendevano a valle con i loro panieri vuoti e reclamavano il raccolto perso. Avevano le camice sporche, le facce rugose, le scarpe rovinate dal continuo rosicchiare dei topi, l’anima in pena.
Il capo di Vittimia, despota e uomo senza religione, li osservava dall’alto come formiche da schiacciare e di tanto in tanto lanciava loro altri pezzetti di gomma piuma che donne e bambini mendicavano per riempire cuscini di carta e materassi. Gli stessi su cui la notte prima avevano poggiato le loro facce stanche e sporche, le loro schiene fatte a pezzi da ore di lavoro inutile, le loro pance vuote, sradicate di budella contorte. Mancava l’acqua per lavare via gli strati di anni di polvere.
Intanto catrame bollente cuoceva dentro grandi pentole di rame e bruciato, dai camini fumo nero e denso si mischiava all’aria color piombo e bocche affamate di cani randagi sopravvissuti alla peste di quel tempo, leccavano ferite di carogne. Carcasse di uomini e donne, morti alcuni giorni prima colpiti da altre sconosciute malattie.
Se i sogni si erano esauriti che cos’altro poteva essere fatto? La putrefazione era alle porte, un caos lento e violento avvolgeva silenzioso i tetti rotti della città strangolandoli pian piano; mantelli di velluto violacei e polverosi di ragnatele volteggiavano senza corpi, era la morte. E nessuno l’aveva mai immaginata così. Il conto alla rovescia era già finito da un pezzo, i vermi si muovevano lenti e spenti…

mercoledì 7 marzo 2012

Luisa e Gino

Visto? Nessuno si è presentato all'appuntamento. Mi sono seduta al tavolino come una scema, con quel libro rosso al posto del garofano, quelle scarpe coi tacchi 20 e quel tailleur di tre taglie più piccole della mia e il tipo sarà scappato.
Vorrà dire che la prossima volta mando la mia amica, quella alta grande fica, oppure una puttana ad alto gradimento.
Lasciando stare i fatti stupidi che non sono successi e che potrebbero succedere mi chiedo: perché il mondo è ancora spento? E se lo chiede pure Luisa. Ma chi è Luisa? E che ne so io, una tizia da qualche parte che si chiama Luisa ci sarà. E ci sarà pure un tizio di nome Gino che si starà chiedendo la stessa cosa.
Il mondo è spento e mancano le lampadine. Come si fa? Chi ci illuminerà di nuovo? Può l'umanità illuminarsi da sola?
Continuo a chiedermelo mentre rosicchio una crosta di formaggio, il topo è scappato finalmente.

domenica 4 marzo 2012

La ragazza sotto la coperta rosicchiata

Scrivilo tu.

Fulminata

Camminavo distratta e insicura, leggevo un giornale pieno di errori di grammatica e dopo un po' caddi dentro una pozzanghera.
Mi sentii piuttosto ovvia; uno dei personaggi delle comiche che scivola su una buccia di banana. E io non volevo sentirmi ovvia, piuttosto bruttina, con i capelli color topo magari, ma di ovvietà ne avevo piene le tasche. Così ripensai a me dentro la scena. E per prima cosa, decisi che non ero affatto insicura e nemmeno bruttina e se è per questo manco barcollante: ero una gran figa con tanto di personalità e intelletto, e non stavo leggendo un giornale sfigato pieno di errori grammaticali, che diamine! Mi spinsi oltre, pensai di essere una gran figa aliena e di camminare sulla luna, terrorizzata da una meteora che sapevo poteva cadermi sulla testa. Questa sì che sarebbe stata una bella fine.
Ma poi rilessi quanto avevo scritto e mi resi conto che anche questa situazione era banale e stupidamente surreale. Mi resi anche conto che non avevo più idee perché il mondo attorno a me si stava lentamente spegnendo con me dentro. E io da sola non potevo sobbarcarmi di questa enorme responsabilità.
Così rimasi semplicemente sotto le coperte e non uscii per giorni.
Sognai... sognai cose che non ricordo, ma erano cose belle e brutte.
Adesso, rileggendo quanto ho appena scritto, mi sembra anch'essa una stupidaggine priva di consistenza. in pratica è come se non avessi scritto nulla. Così mi chiedo: cosa devo fare per accendere la lampadina dentro di me che si è fulminata? Me lo chiedo perché se non accendo la mia, come posso dare un contributo a questo mondo spento da un bel pezzo?
(Anonimo)